Jobs Act: il Diritto del Lavoro di domani - Professionistimpresa

by Professionistimpresa
9 anni ago
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Il Jobs Act non è l’auspicato codice del lavoro, ma è un passo deciso in quella direzione. Gli otto decreti attuativi della legge delega contengono il diritto del lavoro di domani (di oggi, invero), che sembra caratterizzarsi soprattutto per una maggiore flessibilità nell’interesse dell’impresa e per un sostanziale arretramento di fronte alle ragioni dell’economia. Forse in parte è così. Forse la scommessa si giocherà sull’efficacia degli strumenti di governo del mercato del lavoro e forse una parola importante spetterà all’autonomia collettiva.

Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale degli ultimi 4 decreti attuativi della legge n. 183/2014, la riforma del lavoro mediaticamente denominata “Jobs Act” è compiuta.
I complessivi 254 articoli che compongono gli otto decreti attuativi disegnano un mosaico che già solo sul piano quantitativo rivela una forte carica innovativa: si tratta di norme che, nella maggior parte dei casi, non vanno ad aggiungersi o a modificare norme vigenti, complicando ulteriormente il caos normativo ormai conclamato, ma le sostituiscono, spesso riscrivendole.
Se a ciò si aggiunge che ogni decreto reca una specifica norma abrogativa di innumerevoli norme e leggi preesistenti, il risultato di una complessiva, drastica semplificazione, anche, ma non solo, quantitativa del nostro diritto del lavoro, può dirsi in buona parte raggiunto. Non è l’auspicato codice del lavoro, che pure si poneva tra gli obiettivi della legge delega, ma è un passo deciso in quella direzione.
Molto ci sarà da studiare; commenti, manuali e trattati prolifereranno per chiarire i dubbi esegetici e tentare una nuova sistemazione scientifica della materia. Ci vorrà del tempo, e non poco.
Alla giurisprudenza toccherà, soprattutto in alcuni ambiti (nuova disciplina sanzionatoria dei licenziamenti illegittimi – cd. “contratto a tutele crescenti” – ; nuova disciplina delle mansioni e dei controlli a distanza; nuova disciplina degli ammortizzatori sociali), il compito di saggiare l’impatto delle nuove norme sul mondo del lavoro.
Per il momento, è solo possibile guardare la riforma dall’alto, a volo d’uccello, per tentare una prima valutazione non solo quantitativa, ma anche qualitativa; e quindi per coglierne i tratti caratterizzanti.
Un primo dato emerge da siffatta modalità di osservazione: il “Jobs Act” tocca tutto il diritto del mercato e dei rapporti individuali di lavoro, dalle politiche del lavoro ai servizi per l’impiego, dai cdd. “ammortizzatori sociali” in costanza di rapporto, al trattamento di disoccupazione; dalle tipologie contrattuali alla disciplina del rapporto di lavoro, con particolare riguardo alla disciplina delle mansioni e dei controlli tecnologici sul lavoro; per finire con la riforma “unificante” dei servizi ispettivi.
Resta fuori (forse non per molto) il solo diritto sindacale.
Venendo a considerazioni più sostanziali, può dirsi che il Jobs Act sposti sensibilmente il fuoco dell’attenzione del legislatore dalla flessibilità tipologica – che negli ultimi 20 anni ne ha catalizzato gli sforzi nella direzione di un ampliamento del “catalogo” dei contratti (e delle clausole contrattuali) cdd. “atipici” – , alla flessibilità funzionale, riferita cioè alle modalità d’uso del lavoro dipendente, ivi compresa la facoltà di recesso (anche detta “flessibilità in uscita”).
Lo attesta innanzi tutto il decreto sulla nuova disciplina sanzionatoria dei licenziamenti illegittimi (n. 23/2015), che ridimensiona ulteriormente, fino a confinarla in un angolo, per i nuovi assunti, la cd. tutela reale”, ossia il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo.
Come pure lo attesta il decreto sul riordino dei contratti di lavoro e sulla riforma della disciplina delle mansioni (n. 81/2015), che si segnala soprattutto per la virtuale sostituzione, come soggetto protetto dal diritto del lavoro, della figura del “lavoratore etero-diretto”, con quella del lavoratore i cui tempi e luoghi di lavoro sono “etero-organizzati“ dal datore di lavoro; oltre che per la riscrittura semplificata e moderatamente innovativa della disciplina del part-time, del lavoro intermittente, del contratto a termine, del lavoro accessorio, del lavoro somministrato, dell’apprendistato, e l’”abolizione” delle collaborazioni a progetto.
Per finire col decreto sulla cd. “semplificazione” degli adempimenti amministrativi in materia di gestione dei rapporti di lavoro (n. 151/2015), che prescrive la “telematizzazione” di tutte le comunicazioni obbligatorie inerenti ai rapporti di lavoro; riscrive, semplificando con qualche modifica, la disciplina del collocamento dei disabili; aggiorna la norma dello Statuto dei lavoratori sui cd. controlli tecnologici”.
Ad una maggiore fluidità del mercato del lavoro, quale è quella postulata dai provvedimenti evocati, corrisponde una nuova centralità, in termini strategici ma anche di funzionalità, degli strumenti di governo del mercato del lavoro: in entrata, per favorire l’occupazione o la rioccupazione; in uscita, per rendere possibili e socialmente accettabili le continue riorganizzazioni aziendali imposte dalla competizione globale; nei periodi di disoccupazione involontaria, per garantire una tutela economica che sia in grado di contemperare adeguatezza, equità, ed efficienza.
In questo ampio settore dell’ordinamento, dove il fiume del diritto del lavoro incontra l’oceano del mercato del lavoro, si collocano provvedimenti importanti come il decreto sui servizi al lavoro e le politiche attive, n. 150/2015 – che anticipa la riforma costituzionale accentrando le attività in un’agenzia nazionale partecipata da Stato e Regioni – ; il decreto n. 148/2015 sul riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro – che amplia il campo d’azione della cassa integrazione guadagni, nel contempo limitandone drasticamente le causali e la durata; il decreto n. 22/2015 sulla nuova assicurazione sociale per l’impiego (NASPI) – che allunga la durata e amplia ulteriormente il campo di applicazione dell’indennità introdotta dalla legge n. 92/2012 – .
Potrebbe sembrare che il diritto del lavoro di domani (di oggi, invero) si caratterizzi soprattutto per una maggiore flessibilità nell’interesse dell’impresa, e per un sostanziale arretramento di fronte alle ragioni dell’economia.
Forse in parte è così.
Forse la scommessa si giocherà sull’efficacia degli strumenti di governo del mercato del lavoro, che dovranno integrarsi a fondo con quelli di gestione dei rapporti di lavoro.
Forse una parola importante spetterà all’autonomia collettiva, per la quale potrebbero aprirsi nuovi spazi operativi e vitali: in primo luogo, il welfare contrattuale: non solo la previdenza complementare e l’assistenza sanitaria integrativa, ma anche i cdd. “ammortizzatori sociali contrattuali”, le nuove modalità, anche non monetarie, di compensation dei dipendenti, il welfare aziendale, la qualità della vita, la conciliazione del lavoro con la famiglia.
Non è un caso che uno dei decreti attuativi del Jobs Act – il n. 80/2015 – muova qualche timido passo proprio in quest’ultima direzione, ampliando e potenziando la disciplina dei permessi per motivi familiari.
Armando Tursi – Professore ordinario di diritto del lavoro nell’Università degli studi di Milano – Avvocato studio Crowe Horwath di Milano

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